Amorfia chapter 1

AMORFIA chapter1 (dedicated to Carlo Cafiero)

performed by Gaëlle Cavalieri and Andrea Saggiomo

Amorfia is for us a term of Carlo Cafiero from the Asylum of Florence in 1883.

To him is dedicated this chapter of our scenic work because it was inspired by him, specially by the

quiver of the praxis that is not subordinated to the immediate success and to the compromise with the

project, but one that continually reinvents the world where it beats, dodging away in its effort any

determined form.

Far from an attempt of research purely formal-artistic, we make ready ourselves to be exposed to that

thrill, to be that thrill. The performance space is organized in such a way that each item is a call to arms

for others. The light calls the sound, the movement calls the light, and for sure, but not entirely, the

body … without any defined war project, except for the dirty and gritty ignition of what appears.

We attempt to improvise by posing ourselves in the middle of this condition and, more often than not,

we lose the train of thought: we try, that is to say, to expose ourselves to what happens when you do not

substantiated nor the decision-making personnel nor the expectation of a destiny.

Two super-8 film projectors and a slide projector are used as light sources on stage.

Super8 films and slides are prepared by scratching and patching, piercing and ink and wax drawing to

be used in a multiple projection at different speeds.

The projectors, the film and the images are then used as instruments to produce and modify in real time

the light and, using some self-made photosensitive sound devices, the sound-space of the performance,

interacting with the motion of bodies.

The audio signal so generated and manipulated feeds a feedback loop that interacts and changes with the

stage movement.

amorfia.dossier.eng

Amorfia è per noi un termine di Carlo Cafiero dal Manicomio di Firenze nel 1883. A lui è dedicato ed ispirato questo capitolo del nostro lavoro scenico, in special modo ad un fremere della prassi che non si subordina alla riuscita immediata e al compromesso del progetto, ma reinventa continuamente il mondo in cui si agita, scansando via qualsiasi forma determinata in questo suo sforzo. Lontani da un tentativo di ricerca prettamente artistico-formale, ci attrezziamo per esporci a quel fremito, per essere quel fremito. Lo spazio della performance è organizzato in modo che ogni elemento sia una chiamata alle armi per gli altri. La luce chiama il suono, il movimento la luce e, certo, ma non del tutto, il corpo… senza alcun progetto bellico definito se non l’incedere sporco e granuloso di quel che appare. Proviamo ad improvvisare ponendoci nel mezzo di questa condizione e, il più delle volte, perdiamo il filo del discorso: proviamo, cioè, ad esporci a quel che accade quando non si sostanzia né la decisionalità personale né l’attesa di un destino.

 

Nella performance vengono usati in scena due proiettori super8 ed un dia-proiettore come fonti di illuminazione. La loro luce, filtrata dalle immagini impressionate sulla pellicola e modificate mediante applicazioni di cera, inchiostro ed altro, genera e modifica lo spazio sonoro della performance mediante circuiti elettroacustici fotosensibili che, sparsi nello spazio, interagiscono allo stesso tempo con il movimento dei corpi. Il segnale audio, così generato e manipolato, alimenta un circuito di feedback che interagisce e si modifica con il movimento in scena.